
Imparare a vivere in un mondo senza punk
L’eredità di Vivienne Westwood
Quando ero bambina, NANA veniva trasmesso su MTV. È stato il mio primo contatto con la moda, quella vera. Devo dire, col senno di poi, di essere stata privilegiata, visto che avrei potuto benissimo avvicinarmi alla moda grazie ad un qualsiasi brand di scarpe glitterate per bambini. Invece, tutto è cominciato con Vivienne Westwood e con il suo nome si è chiuso un anno, il 2022, che di tutto necessitava, meno che della dipartita della donna più punk di sempre.


“L’ortodossia è la tomba dell’intelligenza”
Vivienne Westwood è stata per l’ultimo quarto del XX secolo la zia Mame della cultura, ovvero l’essere che ha rovesciato, sconvolto e distrutto tutto ciò che di prevedibile, ovvio e convenzionale ci fosse in quegli anni. Nonostante fosse, a tutti gli effetti, paladina della lotta all’anticonformismo ed esperta nell’arte del fare “bastian contrario”, nessuno ha mai osato definire le sue delle prese di posizione: troppa cultura, conoscenza della storia della moda e troppo avanguardismo giocavano a suo favore. La verità è che se oggi vantiamo il diritto di poter affermare che la moda è politica, lo dobbiamo a lei, colei che di atti controversi e rivoluzionari ha fatto il suo pane quotidiano e che sapeva scuotere profondamente gli animi senza proferire parola. E se rinchiudersi in una enorme gabbia per uccelli di fronte alla Central Criminal Court di Londra per protestare contro l’estradizione di Julian Assange, vestita di giallo canarino, non fosse per voi un atto abbastanza significativo e potente, allora non so davvero cosa potrebbe esserlo. O, forse, preferireste vederla alla guida di un carro armato bianco, diretta verso la casa di David Cameron, per dichiarare guerra alla fratturazione idraulica? Perché abbiamo visto anche questo.




“Only anarchists are pretty”
La chiave di volta del punk è stata una camicia fatta in casa. Una vecchia camicia a righe, tinta sul gas della cucina e personalizzata con candeggina e stencil. Le parole “Only anarchists are pretty” campeggiano gloriosamente sulla stoffa. Potremmo parlare a lungo dei contributi estetici fondamentali e della concretizzazione dell’imprevedibile modo di fare moda di Vivienne Westwood. Potremmo, infatti, discutere di come i tagli della sartoria inglese si fondessero con la passione per le tuniche greche, di come la sessualità si sia palesata agli occhi del mondo tramite corsetti e tacchi vertiginosi e dell’impatto di una scritta su una t-shirt. Eppure, ci sono cose più importanti da ricordare.

C’è da ricordare, ad esempio, che Vivienne Westwood era un’insegnante di scuola elementare che aveva intrapreso la strada della moda solamente, e cito, “per fare a pezzi la parola conformismo”. Probabilmente, il suo passato da insegnante è stato il vero responsabile di molte cose che sono venute dopo, tra cui della cultura che ha pervaso, con una serie infinta di riferimenti, le proprie creazioni e di quella sete inesauribile di conoscenza con la quale ha mantenuto il titolo di personaggio più socialmente e politicamente influente. Sarà nel suo modo di fare polemica – mai vuota, inutile e becera – e nella disciplina con cui metteva in scena certi atti rivoluzionari che lo spirito di insegnante si conciliava con la grinta punk.
Nel dubbio, meglio esagerare.
Da qualche parte, ho letto che questo fosse il motto di Vivienne Westwood. In effetti, non riuscirei a trovare parole più calzanti per descrivere, ad esempio, ciò che accadde nel 1992, quando, dopo varie proteste, Vivienne Westwood ritirò dalle mani della regina Elisabetta II l’onorificenza di Ufficiale dell’Impero britannico senza indossare biancheria intima. Come dicevo, esagerazione sì, ma pur sempre accompagnata da cultura e curiosità, come quella che ispirò la collezione Mini-Crini. Era il 1984 quando Vivienne Westwood conobbe Gary Ness, un erudito che introdusse la stilista al balletto Petruška, di Igor’ Stravinskij. Proprio la figura del burattino Petruška ispirò le collezioni la Primavera/Estate 1986 e quella Inverno 1987, durante le quali la stilista portò in passerella la crasi tra le crinoline, tipiche dell’abbigliamento femminile di metà Ottocento, e le minigonne anni Sessanta, simbolo di emancipazione. Stando alle parole di Alexander Fury, i due capi, apparentemente inconciliabili, fossero ugualmente adatti ad esaltare quella femminilità mal tollerata dalla moda delle spalline larghe e maschili e di fisicità performanti e mascolinizzate di quegli anni. Una totale inversione di rotta rispetto alle tendenze degli anni Ottanta, segnata da modelle acqua e sapone, tutte boccoli e blazer da scolarette, con le spalle morbide e strette. È anche la collezione delle celebri Rocking Horse, ballerine dalla suola a dondolo, portatrici di un gusto a metà tra il fetish e il mondo dell’infanzia, con una vaga ispirazione orientale. E, insomma, non lo dico io.


Cosa ci mancherà di Vivienne, dunque?
Nessuno è riuscito a cambiare idee, posizioni, gusti e ispirazioni, pur rimanendo ancorato alla propria identità e ai propri principi, come Vivienne Westwood. Si tratta di una controcultura e di una ribellione studiata, appassionata ma premeditata, capace di mutare e di distruggersi, ma mai in maniera frivola e per far parlare di sé. Vivienne Westwood è stata la personificazione dell’integrità, quella dote nascosta e antica, quasi estintasi nel nostro volubile mondo.
Conseguentemente, ci mancherà il suo impatto politico, fatto di un attivismo inesauribile, lotte, proteste e domande scomode poste ai potenti. Il mondo necessitava ancora di una stilista che tutto voleva, meno che essere compiacente, e di una donna pronta ad esprimersi per le proprie cause senza temere il giudizio altrui, sacrificando le convenzioni sociali per la chiarezza del messaggio. Forse, avremmo dovuto imparare di più su come si combattono le guerre, ovvero con persistenza, intelligenza e azione. Le numerose e variegate lotte di Vivienne Westwood – dal cambiamento climatico all’utilizzo della plastica, dal consumismo sfrenato all’indipendenza della Scozia, dall’omosessualità alla necessità di eticità nella moda – sono esempio lampante del fatto che tacere, perché così fan tutti, è il più letale degli strumenti di autodistruzione e che la definizione del sé avviene anche nella difesa dei propri ideali.


Author: Martina Forasiepi