Geografie percettive, Valentina Biasetti e Mirko Saracino
Valentina Biasetti e Mirko Saracino si propongono un’esperienza che li metta realmente a confronto come artisti, descrivendo interiormente per l’una ed esteriormente per l’altro, la geografia della loro esperienza visiva.
Non si tratta di due viaggiatori che si spostano da un punto all’altro del pianeta per conto di un interesse esploratorio, si tratta bensì di un percorso interiore che li spinge a spostarsi.
Essi intraprendono una ricerca convergente, tanto quanto parallela.
Per Valentina il viaggio prende la direzione dell’interiorità, una ricerca che si sviluppa dentro le quattro mura domestiche. Per Mirko, invece, abbiamo un percorso rivolto verso l’esterno, uno spostamento fisico finalizzato al recupero delle tracce della storia.
Entrambi indagano qualcosa di personale che solo loro possono scoprire.
Nel cammino dei due artisti è evidente il segnale controcorrente della società odierna: non si tratta di un viaggio rapido alla ricerca di qualcosa che già abbiamo conosciuto attraverso documentari, fotografie, bensì di un percorso all’interno della propria storia personale, che attraverso lo spostamento fisico del corpo può permettere di far emergere dei particolari nascosti, profondamente significativi.
Le figure che la Biasetti disegna su carta o su lenzuolo intelato si muovono nella solitudine di uno spazio vuoto, relazionandosi unicamente con il colore, il gesto pittorico o le costruzioni geometriche.
Pieni e vuoti sono un tentativo di contatto e dialogo tra le figure che cercano un’intesa intima tra loro pur restando sospese in una scala temporale: un ponte immaginario per un luogo chiamato “Altrove”.
Valentina lavora cancellando i confini che disegna, diluendo i colori e lasciandoli andare, lavora liberando nel bianco la paura del vuoto.
La valigia di Valentina è infatti vuota, ma piena di ricordi e d’ombre. Quest’ultime rivestono un ruolo importante per l’artista, sono qualcosa d’umano. Al contrario la luce, mangia cose e persone. Assieme alla valigetta, c’è un piccolo diario, dove l’artista, come lei stessa riferisce, ha «annotato ogni giorno con cura meticolosa il progressivo affollarsi di storie… All’ultimo giorno gli strati d’ombre sono divenuti una fitta coltre che confina con uno spazio bianco al centro, per ricordare che domani potrà esserci un nuovo cambiamento da annotare, una speranza di vita».
Le ombre, colorate e materiche, si concretizzano sul fondo della valigia, stratificate, sinuose. L’altra metà del bagaglio è invece costellata di fotografie, immagini generate dal perenne conflitto fra luci ed ombre, filo conduttore di tutta la ricerca artistica di Valentina Biasetti.
Il mappamondo di Saracino è bianco, ma “colorato” di esperienze.
Nelle sue opere, interamente realizzate a matita su carta, le coste, i mari, le montagne, le pianure rappresentano l’idea di un paesaggio come luogo ideale, evocatore di prospettive sull’infinito, dove luci e ombre ne tracciano il peso, la temperatura, i colori. Queste “architetture naturali” si trasformano in linee, che creano un forte contrasto con il percorso della luce. Si tratta di opere caratterizzate da uno sguardo interno che si sviluppa dall’idea di paesaggio. L’artista in “Geografie percettive” intraprende un viaggio alla ricerca delle sue radici: Foggia, dove è nato e dove trova, nelle stele funebri dell’antica Daunia (VII-VI secolo a.C.), i segni e le forme che da sempre appartengono al suo alfabeto iconico.
Affascinato dall’incredibile capacità dei Dauni di raccontare storie per immagini, l’artista colma quel vuoto che in passato lo aveva spinto in altre nazioni, alla ricerca di nuove forme, le stesse che oggi trova nella sua terra originaria. Il risultato di questa ricerca è ben visibile nelle opere di Mirko Saracino: la percezione d’immagini, si manifesta con una geografia astratta di segni, numeri e campiture di colore, capaci di restituire l’energia assorbita dai luoghi visitati.